Vigilio Piubeni musicista e direttore
L’ultima intervista al maestro:"La mia carriera illuminata da Campogalliani"
di Carlo Benatti

Lo scorso 28 dicembre è scomparso il maestro Vigilio Piubeni di Mantova. Nato a Redondesco nel 1912, ha dedicato suggestive pagine musicali ricche di ispirazioni e di lirismo spaziando dal genere classico, al jazz fino al moderno con varie formazioni solistiche e orchestrali.
Iniziò giovanissimo, con il padre musicista, studiando la fisarmonica, e all’età di 10 anni debuttò come direttore d’orchestra. Fondò un quartetto con il quale si esibiva nelle sale da ballo, e questo gli permetteva di guadagnare e mantenere contemporaneamente gli studi di pianoforte e composizione, portando a termine i relativi diplomi.
La sua attività lo portò ad essere conosciuto in tutto il nord Italia, ma anche a Napoli era ben voluto perché sentiva molto la canzone napoletana; nella città partenopea veniva chiamato il ‘lombardo-napoletano’.
La sua creatività si rivolse anche alla didattica con raccolte di canti popolari per coro, scritti sulla teoria musicale, l’armonia il solfeggio, fino al blues.
Per molti anni si è dedicato alla musica leggera ottenendo grandi successi come compositore (come non ricordare la famosissima Cenere), collaborando con le orchestre delle sedi RAI di Milano e Bolzano. Alcune sue composizioni furono dirette da noti direttori d’orchestra come Carlo Maria Giulini.
Sembra quasi un destino che il maestro sia venuto a mancare per un malore durante una sua breve vacanza natalizia in montagna, proprio in quelle montagne che amava moltissimo: le alpi, ricche di suggestivi paesaggi, di straordinari racconti di fate e gnomi che le valli trentine custodiscono gelosamente.
Ora che ci ha lasciato per un eterno riposo, rimane in tutti noi un vuoto incolmabile; ci consola pensarlo in quella Galleria di artisti che a Dio e all’umanità dedicarono il loro genio.
Attraverso questa intervista, concessami dal maestro la scorsa estate per il Bollettino VOX ORGANALIS dell’Associazione Organistica ‘Girolamo Cavazzoni’ di Mantova, avremo modo di ripercorrere le tappe della sua formazione, i primi anni in cui il Conservatorio di Mantova iniziava la sua attività e la grande amicizia con il maestro Ettore Campogalliani.
Nella sua lunga carriera di musicista è stato fiduciario per diversi anni del Conservatorio di Musica di Mantova, sulla base di questa esperienza come vede lei il futuro del Conservatorio?
A Mantova, dalla vecchia gloriosa Scuola comunale di Musica, nacque il Conservatorio musicale come sezione staccata del Conservatorio ‘A.Boito’ di Parma. La gestione venne nel tempo affidata a diversi fiduciari, i quali trovarono qualche difficoltà a ottenere consenso alle loro iniziative da parte del Conservatorio di Parma, ma l’attività scolastica musicale continuò a progredire e da certe classi (archi, pianoforte, trombone...) le qualità eccelse di certi insegnanti hanno prodotto, con il loro insegnamento, artisti di sicura carriera.
Io fui l’ultimo fiduciario al quale il maestro Guarino (carissimo amico) affidò la direzione del Conservatorio. Proseguii la mia attività proponendo, attraverso vari colloqui avuti con il sindaco di allora Usvardi, iniziative che potessero rendere autonomo il Conservatorio di Mantova, e finalmente arrivò quel giorno.
Nella sala comunale, il sindaco Usvardi, io, il dottor Corvasce e un suo segretario mandati da Roma, portammo a termine (brindando con una bottiglia di spumante) la conferma ‘Autonoma’ del Conservatorio mantovano. Continuai a rinforzare l’autonomia raggiunta, quando ebbi la conferma da parte del dottor Corvasce, di poter firmare qualsiasi cosa.
Questa situazione durò fino all’arrivo del primo ‘direttore’ designato che fu il maestro Paccagnini, il quale era una mia vecchia conoscenza già dai tempi in cui lavoravo alla RAI di Milano. Come tutti i direttori che si alternarono alla direzione del Conservatorio, la loro operosità risultò per certi bene, per altri male.
Una cosa però vorrei dire ai lettori e che forse non tutti sanno: il primo direttore invitò in una seduta tutti gli insegnanti a dare un nome specifico al Conservatorio. Proponendo per alzata di mano il nome "Dalla Piccola", uno solo, il sottoscritto, non alzò la mano, perché ritenevo più giusto dare merito a chi aveva a suo tempo fondata la vecchia scuola di musica, ossia il maestro Lucio Campiani; di questo nome, gradito certamente ai mantovani, ne ebbi ragione.
Mantova è città molto musicale e certamente il direttore attuale, maestro Giordano Fermi ne conosce le esigenze del pubblico, e noto che vi è un’ottima sinergia tra cittadini e istituzione scolastica. Ciò mi induce a pensare, che l’avvenire del Conservatorio è sulla buona strada.
In una società sempre più di- stratta e frettolosa, dove anche le istituzioni scolastiche faticano ad accattivarsi l’attenzione delle nuove generazioni, quali sono, secondo lei, i lati da potenziare per coinvolgere di più l’incontro dei giovani con la musica?
Sono giunto ad una età nella quale sono stanco di sentirmi dire ‘largo ai giovani’, e questo rifiuto è dettato dal fatto che i giovani sono inesperti ed è più facile che vadano sulla strada sbagliata.
Qui c’è un discorso da fare: eliminare quell’intendimento che si chiama cultura e provare la vera cultura! Ma che non sia quella delle musiche chiassose o vuote di contenuto artistico come, purtroppo viene avvallato da enti pubblici e privati che preferiscono cultura spicciola con scarso contenuto spirituale.
A mio avviso, il giovane va guidato verso quella musica che lo possa far crescere interiormente e che lo completi nella sua formazione culturale.
A un giovane compositore che voglia orientarsi verso un genere musicale (tradizionale, musica elettronica, dodecafonica...), quale consiglio darebbe?
Bellissima domanda. Il primo consiglio che darei, mi è suggerito da certi insegnanti. A mio avviso si creano dei paradossi: da un lato abbiamo insegnanti che praticano musica elettronica ma non sanno cosa vuol dire la ‘forma sonata’, e questo penso sia uno svantaggio. Prima si parte dalla base classica poi, quando si è maturi, si può scegliere la strada che più soddisfa le proprie esigenze. Oggi c’è molta superficialità anche tra gli stessi addetti ai lavori e si va avanti a scopiazzamenti di ogni genere.
Lei, maestro, ha dedicato anche pagine alla musica sacra. Come vive questo rapporto con la musica liturgica?
Ritengo il canto gregoriano la spirituale realizzazione dei testi sacri. La semplicità del ritmo, unita a una vocalità legata alla nota successiva, senza sillabare, priva di accentazione e segni dinamici, fanno di questo canto un ‘unico’ nella sua bellezza. Un esempio ci è dato dagli inni alleluiatici che, con i loro vocalizzi e fiorettature, esprimono la gioia che è insita nel testo.
La natura del canto gregoriano è prettamente vocale, ma ci fu chi a suo tempo pensò di apporre un sottofondo armonico alle melodie (Benedettini di Solesmes). Per l’accompagnamento all’organo, amo usare collegamenti armonici usando un’armonia sobria, dilatata con note pedali lunghe; in definitiva, non si deve sopraffare la melodia vocale. Se ascolto una musica vocale, composta da qualsiasi compositore su testo sacro, ammiro la sapienza compositiva, gli effetti dinamici impressi, ma mi disturba il senso di teatralità. Al contrario, udire lo stesso testo in canto gregoriano, provoca un senso di commosso raccoglimento spirituale.
Infine, personalmente mi sento di raccomandare il canto gregoriano a chi è addetto alla preparazione e direzione di un coro, abituando le voci ad una vocalità omogenea lineare senza uso di segni e spunti dinamici.
Si può tentare di scrivere qualche cosa di interessante?
Io lo cerco sempre! Ho avuto ultimamente grande soddisfazione, e questo grazie anche a te, quando hai fatto la revisione della mia Sonata a due voci. Per il momento sto lavorando ad una composizione per contrabbasso e quintetto d’archi che non è nello stile moderno, perché non è il mio genere, ma mi diverto molto a comporre.
Altre volte mi viene la tentazione di scrivere cose più impegnative, ma purtroppo ho problemi alla vista, che mi impediscono di scrivere a lungo.
Sono contento di quello che ho scritto, perché son riuscito a creare composizioni che esulano dalla normale attività che svolgevo. Per esempio lo Slow da concerto eseguito con strumentisti della ‘Scala’ di Milano oppure il Movimento di danza che fu diretto dal maestro Carlo Maria Giulini.
Io ho svolto, in maggior parte, il genere della musica leggera, ma senza dimenticarmi dello stile classico. Infatti, a Milano ho diretto, con l’Orchestra Sinfonica della Carish, il Bolero di Ravel e il Concerto di Varsavia, mentre con l’orchestra dell’Antoniano ho eseguito musiche di Mendelssohn, Bach, Chopin...
Tutto si sta evolvendo, ma mi sento di dire che con la musica moderna siamo andati molto avanti; troppo. Io, personalmente, non me la sento di superare certi limiti. La disgregazione musicale è già avvenuta, perché non si può dire che oggi facciamo della musica vera.
Se sentiamo suonare un violino elettronicamente non è mai come sentire il vero suono di questo strumento. La disgregazione tonale, avvenuta da Wagner e Debussy, diede l’avvio a un nuovo concetto della composizione, creando nuovi sistemi.
Nel corso degli anni, nei compositori di musica moderna aumentò la ‘frenesia’ di creare (a tutti i costi) il ‘non fatto’, producendo composizioni di musica cosiddetta moderna, ma spesso con esiti negativi.
Al giorno d’oggi tutto è in evoluzione; la musica elettronica - pur rispettando l’intenzione di chi la crea -, non mi convince. A tal riguardo cito una frase dettami dal caro mio maestro e amico Ettore Campogalliani: "oggi non abbiamo musicisti, ma elettricisti!".
Lei è stato molto amico anche di un altro nostro grande concittadino: il maestro Ettore Campogalliani. Ci può dire alcuni ricordi e come vi siete conosciuti?
Il maestro Campogalliani ha significato per me molto e, ora che non c’è più, sento la mancanza dell’artista e soprattutto quella di un caro amico. Iniziai a studiare pianoforte al mio paese, Redondesco ma, ancora prima, imparai a suonare la fisarmonica a bottoni, quella che aprendo fa un suono e chiudendola ne fa un’altro.
Mio padre, organista della parrocchiale, possedeva un piccolo pianoforte a 5 ottave e su questo iniziai a studiare. La mia prima maestra fu la moglie del farmacista, da poco tempo trasferitasi a Redondesco. Questa insegnante, che si era diplomata a Firenze con il grande pianista Boghen, mi diede le prime lezioni e mi portò fino alle prime sonate di Beethoven.
In parrocchia, dove esisteva un organo a canne, accompagnavo i canti durante le messe, e un bel giorno il parroco, don Luigi Tasselli andò a Mantova dal maestro Campogalliani per segnalarmi. Il maestro, in un primo momento, fu titubante, ma alla fine acconsentì di ascoltarmi. Il brano che portai fu la Sonata patetica di Beethoven e da allora, all’età di 13 anni, iniziai a studiare con Campogalliani. Già a quell’età mi divertivo a scrivere musica e composi la mia prima Barcarola.
La feci ascoltare a Campogalliani e ricordo, come se fosse ora, che mi cambiò un solo accordo dicendomi alla fine "continua a scarabocchiare, che va bene".
La mia maestra di Redondesco, che si chiamava Moncelesan, portò la Barcarola a Firenze dal maestro Boghen, il quale fece una dichiarazione scritta nella quale mi esortava a continuare gli studi.
Sono stato molto vicino a lui anche negli ultimi anni quando era ammalato e, un giorno, parlando vicino al suo letto, dissi; "Si ricorda maestro quando studiavo con lei e ogni volta che la aspettavo nel suo studio lei arrivava cantando "...è Pasqua in chiesa non vai (dalla Cavalleria Rusticana)?".
Questo ricordo mi è rimasto talmente impresso che tutte le volte che lo andavo a trovare durante la malattia lo canticchiavo e Campogalliani rispondeva con voce commossa: "Ma come fai a ricordartele ancora queste cose?". Il maestro fu un carissimo insegnante e soprattutto amico dal quale ho appreso moltissimo. A mio parere, questo grande musicista non è stato ancora ricordato per il suo valore, perché un artista come lui che va ad insegnare l’Ottocento lirico italiano a Salisburgo con Karajan, va al Metropolitan di New York, certamente va tenuto in una considerazione maggiore.

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